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La moda ai tempi del coronavirus

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Ormai siamo in emergenza. Siamo chiusi in casa, usciamo solo per andare a fare spesa o per un’emergenza. Vita sociale zero. Non si esce per gli aperitivi, non si esce per andare a cena fuori, non si esce per andare a fare shopping. Non si compra, se non qualcosa online. E non è detto che quello che compriamo arrivi. E il mondo della moda come sta vivendo questa pausa dalla vita “normale”? Quali danni sta arginando? Perché se è vero che la prima emergenza è quella sanitaria, la seconda emergenze è quella economica. E il mondo della moda non fa eccezione.

I numeri

Il settore della moda è una fetta della produzione e del fatturato italiano molto più grande di quanto si possa immaginare. Le aziende del settore sono oltre 65000, includendo attività del tessile, della pelle e della pelletteria, aziende di abbigliamento, di calzature, di gioielli, occhiali, cosmesi e tutto quanto annesso. Conta circa 620000 lavoratori con un fatturato di 90 miliardi annui e il coronavirus (e le notizie super allarmanti che circolano già da inizio febbraio) hanno di fatto frenato di colpo la macchina.

Ordini cancellati come se piovesse

Il panico scatenatosi nel resto del mondo per la diffusione del Coronavirus in Italia ha avuto come prima conseguenza la cancellazione (immotivata!) di tantissimi ordini alle aziende italiane. Gli esperti considerano (economicamente parlando) che questo anno in corso sarà un anno praticamente perso.

La Cina e l’alta moda

Oltre ai tanti stilisti cinesi che creano opere favolose, la Cina è un pilastro importantissimo per il fatturato della moda mondiale. Più o meno il 40 per cento degli acquisti che vengono fatti in questo settore, vengono fatti da acquirenti cinesi. E la loro mancanza alla Fashion Week di Milano di quest’anno si è fatta davvero sentire.

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Gli stilisti

Prendiamo come esempio Giorgio Armani. È stato il primo a reagire al Coronavirus. La sua sfilata ha chiuso la Fashion Week quando già il virus era arrivato in Italia e la reazione dello stilista è stata decisa e responsabile, come sempre. La sfilata si è svolta a porte chiuse e, nel giro di poco, ha chiuso tutte le aziende del gruppo: negozi, ristoranti, alberghi. La sicurezza dei dipendenti viene prima di ogni altra cosa.

Le donazioni

Altra reazione degna di nota e di plauso è la solidarietà che hanno dimostrato tante maison di alta moda. Giorgio Armani ha donato oltre un milione di euro agli ospedali della Lombardia per fronteggiare l’emergenza. Dolce&Gabbana hanno donato all’Ospedale San Raffaele. Bulgari allo Spallanzari di Roma. Il gruppo Moët Hennessy – Louis Vuitton ha donato oltre due milioni di dollari per la ricerca. Gucci, Yves Saint Laurent, Bottega Veneta e altre aziende del gruppo hanno donato un altro milione di euro.

Una convinzione comune

Le aziende della moda (come tutte le altre) non sono degli organismi a se stanti, ma sono radicate nella società e ne esprimono le idee e i sentimenti. La moda ha quasi una responsabilità sociale e lo sta dimostrando anche in questa battaglia: bisogna restare uniti e lanciare il cuore oltre l’ostacolo per ripartire prima e meglio possibile.

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